Il 4 maggio, in concomitanza con l’inizio della cosiddetta fase 2, prenderà il via anche l’attesa indagine sierologica per mappare la diffusione del coronavirus SARS-CoV-2 nella popolazione italiana. Si tratta di un’analisi del sangue effettuata su un campione di 150 mila persone per stabilire quanti hanno davvero contratto la malattia, magari senza neppure sviluppare i sintomi. È un’indagine importante dal punto di vista epidemiologico, ma gli esperti mettono in guardia dalla tentazione di usare i risultati per assegnare “patenti di immunità” o per gestire l’uscita dal lockdown, perché ancora non sappiamo se e quanto gli anticorpi proteggano da una seconda infezione. Ecco dunque come funzionano i test sierologici e a cosa servono davvero.
La ricerca degli anticorpi
Esistono vari tipi di test sierologici, più o meno affidabili ma tutti progettati per il medesimo scopo: individuare nel siero sanguigno la presenza di anticorpi sviluppati dal sistema immunitario in risposta al coronavirus SARS-CoV-2. Se il test risulta positivo, significa che la persona è stata contagiata e l’esposizione al virus ha stimolato la produzione di anticorpi; se invece è negativo significa che non è entrata in contatto con il virus.
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