“Dobbiamo capire che dobbiamo prenderci cura di quanto abbiamo qui sulla Terra, perché nel corso della storia è stata la Terra ad occuparsi di noi”. Esordisce così Sylvia Earle, oceanografa e biologa marina di fama mondiale, nel suo discorso che ha dato il via al National Geographic Festival delle Scienze di Roma (16-22 aprile, Auditorium Parco della Musica). Nella sua lunga carriera Earle ha guidato oltre cento spedizioni scientifiche e documentato più di 7 000 ore di esplorazione subacquea. Oggi, con la sua organizzazione no profit Mission Blue, sta identificando gli Hope Spots degli oceani: aree uniche nel loro genere che diventano candidate per essere protette, nell’ambito di una campagna di conservazione. Grazie agli sforzi di conservazione degli scienziati, oggi circa il 12% dell’ambiente terrestre è tutelato nell’ambito di parchi naturali e riserve. Ma per gli oceani la percentuale è molto inferiore: appena il 6%.
“Oggi ci rendiamo conto di quanto abbiamo in comune con tutte le altre forme di vita. È negli oceani che trova origine buona parte dell’ossigeno della nostra atmosfera e sono gli oceani a governare la chimica del pianeta, ma solo ora iniziamo a capirne l’importanza. Solo ora capiamo quanto siano vulnerabili di fronte alle nostre azioni, abbiamo dati che mostrano come stanno cambiando in un modo che dovrebbe davvero preoccuparci. Ciò che succede ha un impatto su tutti. Ma noi tutti siamo anche così fortunati da vivere in un’epoca nella quale l’esplorazione degli oceani si sta aprendo, come fu per i cieli agli albori dell’aviazione”.
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